"LA LUCE VINCE L’OMBRA." MA DI QUALE LUCE PARLIAMO?


"Quasi quasi faccio il tifo per l’accoglimento del ricorso del Tar con relativo azzeramento dell’attuale amministrazione e promozione immediata dei perdenti al ruolo di amministratori.
Ne vedremmo delle belle."
Questo dicevo nell'ultimo post risalente a dicembre 2014.
Neanche fossi stato presago di quanto sarebbe successo in seguito.
Peccato che l'ultima parte di quanto scrivevo non si sia realizzato e perciò non ci sarà la possibilità di "vederne delle belle!"
Nel frattempo, mi sono sforzato di cercare di raccattare un minimo di buonsenso negli articoli e contro articoli fioriti in questi ultimi tempi tra amministrazione e opposizione, ma, per quanto faccia, trovo difficile districarmi tra esagerazioni e incongruenze, sia dell'una, che dell'altra parte.
Perché vedete, cari e affezionati quattro lettori, che avete la pazienza di leggermi anche dopo pause più che annuali, vedo che ogni giorno di più, il discorso, da qualunque parte provenga, si radicalizza in un manicheismo sempre più violento e aggressivo.
Al dialogo viene preferita l’invettiva, al colloquio costruttivo l’insulto, ad una concreta azione politica, la distruzione sistematica della figura dell’antagonista.
E’ questo l’unico modo che si conosce a Calvi Risorta, per portare avanti le proprie idee politiche?
Pare proprio di si, né si comprende come, davanti a un panorama politico nazionale sconfortante, fatto da professionisti del mestiere e da mezze figure totalmente mediocri, che fanno dell’individualismo la loro unica bandiera, a Calvi la situazione debba essere diversa.
No, cari lettori, non siamo dei privilegiati. Siamo come tutto il resto d’Italia.
Mi chiedo allora, con la saggezza del periodo della mia esistenza ormai declinante, come si fa ad affermare, per certe, verità che sono tutte da dimostrare?
Essere un bravo dottore dà la garanzia di essere altrettanto bravo a fare il sindaco?
Essere un bravo funzionario statale dà la stessa sicurezza? Oddio, in questo caso, dà per lo meno la certezza della conoscenza di leggi in materia di amministrazione, che non è poco.
Essere un bravo tribuno popolare garantisce la gente dagli errori? Non pensiamo proprio, ce l’insegna la storia antica e soprattutto, per nostra sfortuna, ma altrettanto scarsa memoria, la meno recente storia calena.
Essere un uomo facoltoso e benestante, ricco anche di fantasia e di buona volontà, può sopperire a altre fondamentali doti che si debbono avere nella mansione?
La storia ci ha dimostrato, in tutti i casi su descritti, di no.
Mi pare allora di individuare quello che è stato un dato comune che accomuna tutte le esperienze amministrative di questi ultimi anni, una cosa semplice, in fondo, ma di cui tutti, nessuno escluso, si sono dimostrati carenti.
L’Umiltà.
La sana e robusta umiltà di confrontarsi tutti i giorni con il prossimo e con se stessi, con la realtà di tutti i giorni e con i sogni che abbiamo in testa.

Qualità, questa, che non mi pare abbondi nei tanti portatori di luce, che si stanno ora affollando sull'uscio della casa comunale, tedofori ansiosi più di illuminare se stessi e il proprio futuro, che la sacra fiamma olimpica del bene comune.

Commenti

  1. Il fatto che a me pare centrale è uno: l'umiltà è una virtù dell'uomo che con cuore sincero cerca la verità. Nella tua bella riflessione si vede che non c'è spirito di parte o rancore, ne desiderio di affermazione personale attraverso una idea; emerge invece quello che io considero l'atto politico per eccellenza: il genuino e semplice sforzo della verità. Questa non è, si badi bene, "astrazione" da quello che Romano Guardini chiamerebbe il "concreto vivente", al contrario, è l'andare alla ricerca di quello che più di tutto e prima di tutto caratterizza l'umano: la tensione all'essere-per-la verità. Il desiderio politico è appunto il desiderio di essere-per-qualcun-altro, ma se questo desiderio smarrisce l'essere-per-la verità, diventa un ripiegamento su se stessi e così lo sguardo del polites non è più rivolto al suo centro, e cioè "fuori di se", ma è concentrato "dentro di se", esclusivamente - o quasi esclusivamente- verso il potere; l'altro, a questo punto, diventa il nemico, colui che devo eliminare e non più il mio "concorrente", cioè colui che corre con me alla ricerca della verità.
    Marco Martino

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