OGNI TANTO QUALCHE SODDISFAZIONE


Non amo partecipare ai concorsi letterari: troppi,  senza molta qualificazione professionale  e per lo più volti solo a far soldi di iscrizione.
Tra i più importanti ho scelto tempo fa di partecipare  al Premio di un’Associazione milanese,  l’Associazione culturale Unicamilano, intitolato a Carlo Emilio Gadda, che prevedeva l’invio di un racconto breve inedito, di un romanzo edito, di una poesia in italiano e di una poesia in vernacolo, che nel mio caso era in dialetto romanesco.
Giorni fa mi è arrivato il verbale della giuria.
Per la poesia in italiano, “Civitavecchia”, ho ottenuto una Menzione d’Onore.
 
Per il romanzo “Rosso teatro”, ormai ben conosciuto dai miei cento e passa lettori, ho ottenuto un Attestato di segnalazione, che non so bene cosa voglia dire, ma intuisco che è qualcosa di più di un Attestato di semplice partecipazione al concorso.
 
 Stessa cosa per il racconto breve intitolato “Il ratto delle calene” uno dei diciotto racconti che faranno parte del mio libro “Quella casa sulla roccia e altre piccole storie”, che dovrebbe uscire all’inizio del prossimo anno.
 
La sorpresa maggiore è arrivata scorrendo la classifica delle poesie in vernacolo, che mi vede classificato al primo posto con una mia vecchia composizione intitolata “’Na foja secca”.
 
E’ la seconda volta che mi capita di essere premiato per le mie poesie in romanesco e tutte e due le volte “fuori casa”.
Nella prima ho ricevuto una menzione d’onore in un concorso organizzato dalla “Madia dell’arte” dell’artista – poeta Massimo Capriola in una suggestiva premiazione a Casalnuovo di Napoli.
In quella occasione avevo presentato la poesia “Le cose che se ‘mpareno da pprima”.
Insomma, ogni tanto questi piccoli riconoscimenti fanno piacere.
 
E per quei pochi lettori che hanno resistito a leggermi fino a qui, accludo qui di seguito le poesie oggetto dei riconoscimenti, poesie peraltro molto brevi, cominciando da quella in italiano.
 
Civitavecchia
 
Un molo
e tre ricordi.
Spazzati dalle onde.
 
 
 
 
 
‘Na foja secca
 
‘Na foja secca
morennose de freddo,
entra ‘n casa e se mette
vicino ar caminetto.
Je dico
statte attenta
che si caschi
mori de corpo, tutta ‘na fiammata.
Ciaveva tanto freddo
che mmanco m’ha sentito.
Ha fatto ‘na fiammata
e se n’è annata.
E’ mejo provà er freddo più tajente
c’avvicinasse troppo e nun sentì più gnente.
 
 
 
 
Le cose che se ‘mpareno da pprima
 
Le cose che se ‘mpareno da pprima
so’ quelle c’aricordi, t’assicuro;
ciavevo ‘n anno, stavo sopra a ‘n muro
tutto fiero e glorioso pe’ la stima
che me penzavo che ciavrebbe avuto
mi’ padre che llì sotto me guardava.
Se stava zzitto zzitto, poi allungava,
du’ mani messe llì come  ‘n imbuto.
“Buttete, disse, che te pijo io!”
Io nicchiavo  ‘n ‘pochetto, pe’ ‘a paura
d’annà pe tera, ma preganno Ddio
chiudenno l’occhi annai pe’ l’avventura.
“Nu te devi fidà, fijolo mio,
si ppoi nun voi scoprì la vita dura!”
E ancora m’aricordo, miseriaccia,
perché, parlanno, ritirava ‘e braccia.
 
 
 
 

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