BELLA LA RIFLESSIONE DI MARCO MARTINO

Accludo una riflessione di Marco Martino sulle ultime elezioni. E' incredibile come un giovane riesca così acutamente ad inquadrare le situazioni e a fotografarle con sguardo sincero e appassionato.

MARCO MARTINO

La XVI legislatura è alle porte.
Le culture politiche del secolo scorso rimangono fuori.
E’ la già annunciata crisi delle ideologie, intese come aggregazioni, teoriche e pratiche, di idealità del tutto, che apre scenari nuovi:
da De Gasperi a Craxi, da Tangentopoli all’ Unione di Prodi, si intravedono, forse, i lineamenti di una Terza Repubblica (In sede storiografica c’ è chi nega l’ esistenza di una Seconda Repubblica, figurarsi della Terza) che, in modo confuso e timido, muove i primi passi.
Il vento del cambiamento, in senso bipolare, non è un vento italiano, anzi, in Italia arriva tardi. Comunque è arrivato, e questo impone riflessioni nuove partendo dagli stessi elementi che hanno caratterizzato le ultime consultazioni elettorali. Tra tanti, vorrei soffermarmi su tre questioni in particolare:

-il sistema elettorale
-la crescita delle forze con vocazione autonomista
-la questione della stabilità e dell’ efficienza del governo

Il primo aspetto (il sistema elettorale), determinante nel creare un assetto bipartitico è, per la qualità della Democrazia, il più preoccupante.
E’ noto a tutti che, nell’ andare a votare, noi cittadini non abbiamo scelto tra candidati, ma tra simboli. Le liste erano fatte. E secondo quale criterio siano stati scelti i singoli candidati e il relativo posizionamento in lista, rimane a noi oscuro. E’ facile intuire così che il 90% della Camera e del Senato era già stato scelto, non dai cittadini ma dai Partiti. Ciò appare ancor più grave se si considera la crisi rappresentativa dei partiti stessi che, baipassando la questione vera della rappresentatività, hanno semplificato il tutto con una legge elettorale.
A questo punto, prima di ogni considerazione tecnica o teorica sulla scelta di questo o quel sistema elettorale, bisognerebbe fare i conti con la Democrazia e con il rispetto del suo significato autentico.

Il secondo aspetto (la crescita delle forze con vocazione autonomista) emerso in modo chiaro nelle ultime consultazioni, richiede una analisi attenta e più approfondita. Sicuramente le istanze Regionali non sono tutte sbagliate e nascondono, dietro slogan e motti preoccupanti per molti, problemi veri e necessità incombenti. E’ altresì importante capire e analizzare fino in fondo la radice da cui istanze nascono e si sviluppano. Per essere più chiari: se il Piano delle Regioni del Settentrione è quello di garantire, anche attraverso il federalismo, uno sviluppo armonico di tutta l’ Italia, colmando le attuali carenze istituzionali, economiche e sociali delle Regioni meno sviluppate, è ben accetto, e può essere considerato una proposta politica seria e costruttiva. Presupposto fondamentale di questa visione rimane quello di superare il difficile rapporto nord-sud, alimentando il desiderio di un rapporto “fraterno”, che vuole uno sviluppo omogeneo e sinergico delle Regioni, rifiutandone uno disarticolato e particolare. Ciò non significa non riconoscere errori, responsabilità ed esigenze di ciascun soggetto politico, bensì approcciarli per “metabolizzarli” con un continuo dialogo-lavoro, al fine di un loro proficuo superamento.
Se invece l’ origine di certe istanze tende ad accentuare le divisioni, nella speranza di superare con una rottura l’ ostacolo identitario e dello sviluppo, è un fatto preoccupante. Ciò andrebbe contro la stessa Costituzione e la volontà dei Padri della Repubblica, innescando inevitabili meccanismi di odio e rancore in un’ Italia “a due velocità”.
Insomma, le ragioni degli autonomisti rappresentano una possibilità ed una ricchezza se interpretate e vissute in modo maturo e responsabile sullo sfondo di una sostanziale e non formale unità dell’ Italia, conquistata e sancita in modo chiaro dal testo costituzionale. Altrimenti, se fondate sul desiderio di accentuare particolarismi, divisioni e differenze (in senso negativo), possono diventare un pericolo per la stabilità della Democrazia e della sua politica.

Il terzo aspetto (la questione della stabilità e dell’ efficienza del governo) rappresenta indubbiamente un bisogno del Paese. L’ alternarsi, in pochi anni, di politiche spesso contrastanti e di riforme economiche opposte, ha spalancato orizzonti di incertezza e di crisi sullo scenario politico-economico internazionale.
La capacità di individuare priorità politiche ed economiche, perseguendole con continuità e con scelte coerenti e conseguenziali, è mancata; alimentando idee (soprattutto all’ Estero) di una Italia lenta e poco affidabile.
Per prendere atto di questa situazione è sufficiente leggere i principali quotidiani economici e politici di altri Paesi. A conferma il fatto che, il giorno dopo i risultati elettorali, nessuno ha accolto con entusiasmo il cambiamento italiano, e, se qualcuno è stato “tiepido”, lo ha fatto con esplicite riserve. (Parlo de El Pais, Le Figaro che pure è un giornale conservatore; New York Times, Cnn, Bbc, Le Monde che ci vede ancora fermi agli anni 90’; Washington Post e altri).
Insomma, di “politiche certe”, il Paese ha bisogno. Tuttavia è lecito sperare che un’ esigenza non trasformi il Governo in una azienda e il Parlamento in una macchina, ma rimanga stabile e fondante il dialogo e la dialettica politica tra idee e posizioni diverse, che si incontrano e si rielaborano dando vita ad una vera, efficace e democratica stabilità ed efficienza.

Concludo con una considerazione personale.
Si sente l’ assenza di una “chiara griglia” di riferimento per comprendere, orientarsi e decidere nelle questioni politiche e non solo; per leggere e valutare programmi elettorali, dichiarazioni o alleanze; per distinguere dal rumore quotidiano della “chiacchiera” qualche “Parola”…
Pare che manchi cioè un quadro generale di riferimento, sia per i singoli cittadini che per i politici, capace di far riconoscere e di indicare le priorità di una azione politica incisiva e responsabile; capace di generare entusiasmo e partecipazione e soprattutto capace di guidare la politica stessa ad una continua crescita nello sviluppo armonico di tutte le componenti della Democrazia.
Il divenire della politica sembra così incomprensibile e legato unicamente ad aspetti e questioni contingenti. Appare allora necessario ricostruire, partendo dai cittadini fino ai politici e viceversa, una rete di formazione in grado di ridefinire i valori che fondano e orientano la politica stessa.
Sicuramente il crollo delle grandi ideologie, che costituivano sostegno e giustificazione dell’ agire politico, rende tutto più difficile ed impone una riflessione nuova, aperta agli scenari che si delineano nel nostro Paese e non solo.
Questa esigenza di novità e cambiamento è parzialmente accolta dai partiti che, pur rimanendo ancorati a vecchie categorie di pensiero, si interrogano sulla necessità di ricostruire un sistema politico in grado di rispondere alle necessità storiche dell’ Italia e capace di coniugare nuovi grandi ideali con i bisogni quotidiani delle persone (ecco il tentativo del Pd, Pdl e ,sia pure con ritardo, quello del soggetto unitario Sinistra Arcobaleno).
Anche per i partiti però l’ eccessiva frammentazione sociale e culturale è un ostacolo. L’ idea di riuscire a far sintesi di bisogni ed idealità diverse appare impossibile. Questo è il punto. Dobbiamo educarci ad una nuova visione di dialogo (inteso come essenza profonda della Democrazia), riconoscendo un bisogno continuo di formazione al sociale che è, prima di tutto, formazione “all’ altro” e con “ l’ altro”.
Ed è questa, forse, l’ irrinunciabile sfida dei giorni nostri.

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